Una seduta in… bicicletta . Un’introduzione al counseling sportivo

Il counseling sportivo può essere considerato una pratica in netta diffusione e sviluppo nell’ampio spettro del counseling. Risulta importante ampliare il panorama di intervento superando il mero raggiungimento degli obiettivi. Di seguito un’introduzione a questo tema scritto “a quattro mani” con il collega Stefano Grazzi.

per dimenticare dove si trova, per fare astrazione del contatore dei chilometri che non scorre abbastanza velocemente, egli si deve distaccare dal proprio corpo per raggiungere lo stato di lievitazione delle isole che deve raggiungere… il cicloviaggiatore entra allora in una meditazione profonda, sente il proprio battito trasportarlo in una dimensione in cui niente lo raggiunge, né il dolore né il peso da trasportare. (Julien Leblay – Il tao della bicicletta piccole meditazioni ciclopediche).

La letteratura in lingua italiana non offre molto a riguardo e va nella direzione di configurarne una definizione, spesso imprecisa e solitamente descrittiva delle varie tipologie di utenza a cui il counseling si rivolge; in rete è possibile trovare la definizione di counseling sportivo attribuita a semplici proposte di programmi di mental training.
Inoltre è facile trovare una certa confusione rispetto alle definizioni di counseling sportivo e di coaching sportivo che ha lo scopo di aiutare l’atleta ad esprimere le proprie potenzialità ed a raggiungere i propri obiettivi, affrontando solo in rari casi problematiche psicologiche.
Il counseling sportivo è inteso come un metodo rivolto a favorire il cambiamento dello stato mentale dell’atleta, ponendo le basi per il raggiungimento degli obiettivi e per l’espressione delle sue potenzialità. L’attenzione è centrata sulla persona mediante un programma di lavoro integrato con una forte interdipendenza tra le componenti sportive (tecniche ed atletiche) e quelle psicologiche relazionali.
Per definizione il counselor è colui che favorisce l’utilizzazione delle potenzialità già presenti nel cliente, aiutandolo a superare quei problemi che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente e favorendo il cambiamento attraverso la mobilitazione delle risorse che il cliente gli porta.
In quest’ottica il counselor sportivo aiuta l’atleta a definire i propri obiettivi a medio e lungo termine, a stabilire il suo obiettivo psico-fisico, ad allenare lo stress agonistico, a trasformare i suoi punti di debolezza in punti di forza. In questo senso anche alcune tecniche di Traning Autogeno declinate nelle sue posizioni favoriscono il rilassamento e la riduzione dello stress.
Per farlo potranno esser utilizzati strumenti tipici del mental training, tra cui la tecnica della visualizzazione che si base sul principio che immaginando o visualizzando un obiettivo il nostro corpo si prepari a raggiungerlo. Viene utilizzata in ambiti molto diversi tra le quali per il superamento di fobie e dipendenze. Il presupposto teorico si basa sul principio che il pensiero utilizzi le immagini e non le parole; vedere delle immagini con l’ausilio di fotografie potenzia la capacità di focalizzazione verso l’obiettivo e alcune ricerche rilevano che osservare l’esecuzione di un movimento stimola nell’osservatore l’attivazione delle aree cerebrali ad esso imputate e ne facilita in un secondo momento l’esecuzione.

L’efficacia di queste tecniche dipende molto del lavoro che il terapeuta o counselor imposta nelle prime fasi del colloquio che gli permettono di creare le basi per un percorso individualizzato, mirato e quindi efficace per quella persona atleta.

Integrare le tecniche funzionali al raggiungimento dell’obiettivo significa partire da una conoscenza profonda e piena della persona che si appresta a “mettersi in gioco”; avvicinarsi al suo concetto di limite fisico personale, condividere il senso di fare dello sport, costruire nuove dimensioni di significato che lo portino definire in modo nuovo lo sforzo, la fatica, il risultato. Il modo di concepire l’attività fisica e sportiva, racconta molto di come la persona vede e immagina sé stesso, racconta come vive la propria vita su e giù tra salite e discese.

Pensare che l’attività fisica non sia solo fatica e raggiungimento dell’obiettivo ma anche godere istante dopo istante dello svolgere del tempo, delle immagini e dello spazio, accomuna lo sport alla vita quotidiana dove anche il corpo lascia spazio al pensiero e alla voglia di sognare. Carl Rogers ha definito il concetto di vita in espansione come la condizione raggiunta da una persona che si sente intimamente libera di muoversi.

Di seguito riporto lo scritto di un amico che racconta in prima persona quanto la creatività di un terapeuta possa essere importante in un percorso e quanto la personalizzazione del processo possa facilitare il cambiamento. Lascio a voi pensare se questa sia una proposta attuabile, pura suggestione o spunto interessante da cui partire.

… non si inizia mai a viaggiare spostandosi  fisicamente, il principio di un viaggio ha luogo da un movimento di qualche sorte che avviene in un posto, che ancora non ho definito e che non voglio circoscrivere per paura di perderne la delicata armonia perpetua che risiede nella sostanza di cui sono fatto…

La sensazione che provo è di uno speciale contatto intimo con il mio respiro, sento che in parte quello che provo si potrebbe tradurre con il concetto di espansione. Se mi concentro riesco a sentire l’aria sulla faccia mentre pedalo a fianco del mio terapeuta, l’ultima seduta di un percorso durato circa quattro anni, durante i quali più di una volta sarei balzato in piedi dal divanetto per andarmene sbattendo la porta. Ma sono sempre rimasto lì seduto, per tornare ogni settimana e ogni mese per quattro anni. Dalla bicicletta ho imparato soprattutto che si cade, come del resto dalla poltrona di uno studio di psicoterapia e se vuoi diminuire le probabilità di caduta, anche sui terreni più tecnici e accidentati, devi imparare a guardare avanti.Lo so sembra un controsenso: se si guarda lontano si rischia di non vedere l’ostacolo più vicino…e invece non è così!  La mente ha già visto il problema, ma se le dai troppo ascolto rischi di trovarti abbracciato ad un lampione o di centrare un grande sasso su un sentiero. Sembra che vadano così le cose in bicicletta.Forse è per questo che come ultima esperienza  il terapeuta  che mi offre supporto, ha deciso di propormi  queste “due pedalate”, di mutare il setting e di farlo diventare un momento in cui le nostre emozioni viaggiano a contatto con la strada. Non ci guardiamo più solo negli occhi, ma entrambi procediamo verso la stessa direzione.

Penso che la condizione stabile dell’uomo sia girare; il Ciclo della vita richiama il moto delle ruote di una bicicletta, e l’equilibrio come disse Einstein, è il frutto del movimento. Come dire che se vuoi sentirti in equilibrio devi muoverti, in tutti i modi che conosci. E credetemi muoversi emotivamente, in bicicletta è una sensazione appagante. Non è una seduta particolarmente densa di contenuti  verbali,  più un’esperienza di empatia silente. Forse è questo che sento, ma credo lo capirò in futuro, dopo questa proposta così particolare, azzardata e insolita. Forse dovrei raccontare da dove sono partito, ma non credo che sia così importante. Forse darebbe la dimensione di quanta strada ho fatto in questi quattro anni, ma sinceramente è nulla al confronto di quanta ne sto facendo oggi, e cercherò di fare domani. Pantani a chi gli chiedeva perché andasse così forte in salita rispondeva: “per accorciare la mia agonia”…in questo mio ricordo risiede il monito di quanto si possa soffrire nella vita e a quanto poco serva affrettare il passo per soffrire di meno.  Quanto a poco serve visualizzare la meta… se prima non abbiamo imparato a percepire il ritmo del nostro cuore, il respiro, e le sensazioni che ci fanno procedere. Le prestazioni migliori si ottengono svuotandosi dal peso del tempo e dal vincolo di arrivare primi. Prima di diventare dei semplici fuggitivi, inafferrabili inconsapevoli di quanto succeda nel qui e ora. Questo pomeriggio che sto vivendo né è la prova, non stiamo pedalando veloci ma sento che si potrebbe arrivare molto lontano. Da soli in bicicletta, non si va né veloci e nemmeno così lontano. Ad eccezione di qualche folle parentesi da ciclonauta errante alla ricerca della solitudine, le distanze maggiori le ho ricoperte con più facilità insieme a qualcuno. “L’amore raggiunge sempre l’uomo… anche se va in bicicletta”.

Da ragazzino, quando guardavo il Giro d’Italia mi interrogavo spesso sulla figura del gregario. Mi chiedevo perché fosse così necessaria, come mai un compagno potesse essere così utile al proprio capitano solo standogli a fianco, senza toccarlo senza intervenire fisicamente nel meccanismo di moto che lo faceva avanzare. Beh forse è un pochino quello che avviene all’interno dei legami, anche quelli di coppia… Ricordo dopo diversi anni da quel giorno, il ritorno dal nostro piccolo viaggio, quando ho accolto la proposta di continuare da solo  allungando il percorso di un paio di chilometri, giusto il tempo di giare attorno alla collina. Così ho deciso di salutare la persona che ho amato e odiato per quattro anni, colui che si è visto riversare addosso tutte le mie paure e insicurezze, le mie angosce le mie ironie. Terminato il mio giro ho riposto la bicicletta nel garage dietro allo studio…buffo non mi ero mai accorto che ci fosse un garage con delle biciclette dentro…sono risalito in macchina e ho ripreso la via di casa.